La psicoterapia ai tempi del Coronavirus

di Laura Ballaré

Abbiamo tutti sempre saputo che la strutturazione e il mantenimento del setting sono fondamentali all’interno del lavoro terapeutico. E quindi abbiamo lavorato, con la dovuta flessibilità, per creare e conservare quella struttura che ci garantiva, internamente ed esternamente, e che garantiva al paziente la continuità e la stabilità del lavoro condiviso.
La possibilità di usare strumenti online, in situazioni di necessità, era stata contemplata e utilizzata come dispositivo alternativo e necessario ma, consapevolmente parziale, da usare nelle situazioni di obbligata distanza, cercando di mantenere, comunque, l’assetto delle sedute fatte allo studio.
Un po’ come riprodurre, in una versione online, la condizione della seduta classica. Per cui effettuare lo Skype dal proprio studio forniva una cornice, per certi versi modificata, che riportava il paziente nello stesso luogo e nello stesso tempo. In questo senso il paziente stesso si ritrovava in un vis a vis noto e già condiviso durante la fase di terapia in cui si recava fisicamente ad incontrare l’analista. D’altro canto, anche per l’analista, la seduta online costituiva un’eccezione che permetteva di tollerare il cambiamento della situazione in cui il paziente si veniva trovare. La modificazione dello scenario, che si visualizzava sullo schermo, non era troppo di disturbo alla prosecuzione del contatto terapeutico. Il paziente tendeva anche a mantenere un assetto a cui era già abituato e questo creava, comunque, una condizione in cui si poteva proseguire il lavoro intrapreso.
Questo momento di emergenza ha, invece, obbligato noi terapeuti a confrontarci con un dato di realtà che ci ha proposto condizioni inaspettate. A parte le difficoltà, concrete, dei pazienti di trovare, in casa, un tempo e uno spazio in cui isolarsi, per poter parlare liberamente con l’analista, ci siamo trovati di fronte ad altre difficoltà, legate proprio alla distanza fisica che si frappone tra noi e loro.
La richiesta, che alcuni pazienti fanno, di non effettuare le sedute online, per poter al più presto ripristinare gli incontri allo studio, di persona, mi sembra indichi la necessità di ritrovare quel “luogo” e quel “tempo” che avevano consentito la strutturazione del legame per la possibilità del lavoro clinico.
La distanza, e il mezzo tecnologico, sembrano riproporre, fantasmaticamente, l’angoscia della perdita e della separazione, in un momento in cui il mondo intorno a noi ci fa sperimentare e temere altre perdite e altre separazioni.
La stessa vita quotidiana, ora, ci costringe ad un isolamento inconsueto e a modificare radicalmente le nostre abitudini, dai gesti più spontanei ai contatti più normali con gli altri.
In tal senso, l’incontro online con il terapeuta sembra rischiare di riprodurre quella distanza e isolamento con la connessa paura dell’abbandono: emozioni e ansie con cui il timore del contagio ci sta obbligando a confrontarci.
La distanza fisica, in terapia, sembra venire a rappresentare la stessa distanza fisica che ci è richiesta nella vita e che ci allontana, spesso, dalle persone per noi significative.
Ma il nostro lavoro ci obbliga a comprendere e a condividere con il paziente il senso che si cela dietro la resistenza proprio per permettere che, in questo momento soprattutto, non si interrompa un legame che, più di altri, può costituire sostegno e supporto.
Ed è con questo pensiero che, nella fase iniziale in cui ci si riorganizza per mantenere gli appuntamenti e proseguire il lavoro analitico, appare fondamentale dare voce alle preoccupazioni e alle paure che si attivano al momento della proposta on line, sottolineando gli aspetti di potenzialità più che quelli di mancanza. Così tutto sembra cambiare e la possibilità di preservare il riferimento, recuperare il contatto visivo, sentire il calore della voce e vedere gesti ormai noti, modifica sostanzialmente lo scenario e consente di riprendere, anche se in maniera diversa, il lavoro interrotto. Anzi, l’occasione che la tecnologia ci fornisce e che ci consente di proseguire con continuità, in un mondo che ha temporaneamente perso il solito ritmo e la solita cadenza dell’agire quotidiano, permette di sperimentare una rassicurante sensazione di presenza e di vicinanza in una ritualizzazione che non è andata perduta. Non solo nell’attesa che tutto torni come prima ma, anche, nell’uso dell’oggi, e dello “spazio” e del “tempo” che ci sono attualmente concessi.

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