Una vita cura una vita. Inizi, maturità, esiti di una vocazione.

Di Franco Borgogno

Torino: Edizioni Bollati Boringhieri, 2020.

Pagine 144. Euro 24,00

 

Commento a cura di Giuseppe D’Agostino

 

L’ultimo libro di Franco Borgogno, Una vita cura una vita. Inizi, maturità, esiti di una vocazione, è un raro esempio di autobiografia psicoanalitica. Dopo quarant’anni di professione, l’Autore ha dato forma scritta a quel lungo percorso di vita che lo ha condotto a essere lo psicoanalista che è oggi. Utilizzando una scrittura diretta, che vuole andare al cuore delle esperienze, Franco Borgogno racconta la nascita e lo sviluppo del suo pensiero e del suo modo di concepire il lavoro psicoanalitico. Il lettore che conosce i concetti principali del pensiero dell’Autore (l’onda lunga, psicoanalisi come percorso, spoilt children, proiezione estrattiva, analista introiettivo, omissione di soccorso, venire da lontano, rovesciamento dei ruoli, funzione di testimonianza, metamessaggi inconsci, l’importanza del “ringhio”) troverà in questo libro la loro genesi e i significati che, con il tempo, hanno assunto nel suo cammino professionale ed esistenziale.

Si tratta di concetti che costituiscono i capisaldi della lunga ricerca che l’Autore ha condotto sul trauma precoce e cumulativo – da lui inteso come violazione extra-psichica delle spinte originarie ed evolutive del Sé – e sulle comunicazioni che il Sé traumatizzato produce dentro la stanza d’analisi: quando investe la coppia analitica di comunicazioni e meta-comunicazioni inter-psichiche distorte che richiedono una lenta e difficile traduzione emozionale e relazionale. Le pagine del libro, mantenendo viva l’esperienza affettiva del racconto di una vita,  portano il lettore – attraverso quattro tappe che corrispondono ai quattro capitoli – a conoscere il processo di elaborazione e consapevolezza profonda che Franco Borgogno ha fatto della sua storia. Un processo, quello dell’appropriazione della dimensione storica del Sé, che costituisce lo scopo ultimo di ogni psicoanalisi: “la storia – egli scrive – (al cui centro vi sono le identificazioni, una parte delle quali è inconscia) è essenziale per capire chi siamo come persone e come professionisti. E con storia intendo la storia delle relazioni familiari, della trasmissione affettiva da una generazione all’altra, la storia della cultura – anche professionale – in cui uno è cresciuto” (Borgogno, 2020, p. 9).

Riflettendo sulla costruzione interna del proprio modello e di come abbia assimilato i grandi autori classici, Franco Borgogno racconta un periodo fecondo della psicoanalisi italiana – quello fra gli anni settanta e novanta – segnato da nomi importanti della nostra tradizione psicoanalitica: Giovanni Zapparoli, Luciana Nissim Momigliano, Giuseppe Di Chiara, Stefania Manfredi Turillazzi, Roberto Speziale-Bagliacca, Dina Vallino, Franca e Alberto Meotti, e altri ancora.

Una parte importante è dedicata all’incontro con il suo secondo analista – che l’Autore riesce a trasmettere nelle sue parti più vitali e umane – il quale gli permise di scoprire e apprendere non soltanto le forze dell’inconscio ma, anche, il potere vivificante della relazione analitica. Un aspetto, questo, che il libro rende in una maniera molto precipua, mostrando il valore terapeutico dell’incontro con uno psicoanalista che, non nascondendo la propria persona, si fa portatore di quel nutrimento di umanità che il paziente sta cercando. Il libro, per l’appunto, è anche la storia della ricerca personale sul significato e il valore clinici di quella pragmatica della comunicazione, inconscia, che accade fra i due membri della coppia analitica, dentro la quale avvengono continui scambi di azioni e messaggi, consci e inconsci. Ed è da questa prospettiva che Franco Borgogno mostra come ha intrecciato la propria esperienza con l’insegnamento di autori classici quali: Ferenczi, Winnicott, Balint, Bion, Heimann, Racker.

Insieme ai maestri, Franco Borgogno presenta al lettore alcuni incontri, speciali, con i suoi primi pazienti, alcuni dei quali conosciuti all’ospedale psichiatrico di Milano. Nelle pagine dedicate alla clinica emerge la costruzione di ciò che, col tempo, l’Autore chiamerà l’analista introiettivo, riferendosi, con questa espressione, alla necessità di comprendere il paziente attraverso un lungo e spesso sofferto working through controtransferale, facendo sostare, al proprio interno, i contenuti grezzi che provengono dal paziente e che necessitano di entrare in comunicazione inconscia con la storia psichica dell’analista stesso. Un atteggiamento, questo, che è necessario e vitale per quei pazienti – siano essi adulti, adolescenti o bambini – che sono portatori di una vita psichica distorta e spenta e, proprio per questo, chiedono al proprio analista di essere quell’ambiente che stanno cercando, poiché non lo hanno mai conosciuto.

In conclusione, questo libro pone al centro la persona del terapeuta, invitandolo a  farsi carico, in maniera sofferta e proficua, della propria storia, per divenire quella presenza viva e genuina di cui necessitano le persone che chiedono di essere curate. Si tratta di una prospettiva “ecologica” che sollecita ciascun lettore a riflettere sui fondamenti emotivi e le responsabilità etiche della conoscenza e della pratica in psicoanalisi.

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