L’Arte che Cura:

Le potenzialità del fare arte nel processo di crescita degli adolescenti

 

Di Carolina Ronchi[1] e Roberta Vitali[2]

 
Quest’anno durante la cerimonia dei David di Donatello l’attore Pierfrancesco Favino ha voluto richiamare l’attenzione su una questione, mai come oggi, rilevante: “Vorrei che si insegnasse il cinema e il teatro nelle scuole italiane. Vorrei che ai nostri ragazzi, si insegnasse a tenere in mano una cinepresa, si insegnassero le tecniche teatrali, in questo momento che c’è bisogno di stare insieme… Dal cinema e dal teatro, si impara tanta vita. E per favore, non il pomeriggio, ma durante le lezioni.”
Il grande attore richiede che sia data la possibilità ai ragazzi di fare arte, poiché grazie ad essa “si impara tanta vita”. E aggiunge una nota amara, “non il pomeriggio”. Come a voler sottolineare l’ormai triste tendenza a sottovalutare le importanti potenzialità dell’arte nell’apprendimento e nella crescita dei ragazzi. Come psicoterapeuti crediamo profondamente che il fare arte per gli adolescenti possa essere un potente strumento di scoperta di sé e delle proprie capacità. Accanto alla scoperta delle proprie risorse, attraverso il processo artistico nei percorsi di cura diventa possibile recuperare e trasformare le parti scisse o negate del Sé.
L’introduzione del linguaggio artistico nelle relazioni di cura può creare un ponte comunicativo che passa dal corpo ed arriva alla mente in un movimento circolare e fluido, favorendo l’espressione e la comunicazione, soprattutto in adolescenza.
L’arteterapia[3] da molti anni ormai è un tipo di intervento che viene usato nei contesti ospedalieri e non solo, testimoniando il valore dell’arte sia nelle sue potenzialità riabilitative, sia come forma di cura vera e propria integrata alle altre.
La funzione immaginativa innescata dall’uso del medium artistico, all’interno di una relazione terapeutica, permette di sperimentare l’Altro da sé, lo sconosciuto come un prolungamento di quella parte di sé rispecchiata. Questo rispecchiamento delle differenti parti di sé tramite rappresentazione simbolica del mondo interno avviene in un setting costituito da uno spazio illimitato e sicuro nel quale non è necessario trovare connessioni con la vita reale.
Fare Arte all’interno di un setting terapeutico, indipendentemente dal mezzo espressivo utilizzato (pittura, narrazione, musica, canto, teatro), funziona come un ponte tra due mondi: il mondo dell’arte e il mondo della cura. Nella metafora del ponte riconosciamo il transitare costante degli adolescenti e dei preadolescenti da una situazione emotiva ad un’altra. Il terapeuta può andare ad intercettare, nel transitare, le istanze emotive inespresse[4] in realtà fondamentali.
Al centro del percorso vi è la costruzione dell’oggetto creativo. L’oggetto artistico che prende forma può essere considerato un “oggetto transizionale” in senso winnicottiano. Il prodotto artistico contiene parti del Sé con le quali diventa possibile dialogare, trasformare e reintegrare all’interno di una relazione di cura. In questo senso fare arteterapia è un’esperienza ben diversa dal creare in solitaria. In questo spazio transizionale  dialogico, all’interno di una cornice sicura, i ragazzi possono agire a livello fantasmatico i loro illimitati poteri senza temere di distruggere se stessi o gli altri[5].
Un famoso spot recitava: “La potenza è nulla senza controllo”[6], in estrema sintesi uno dei più grandi insegnamenti del processo artistico. Dipingere una tela, creare una storia o una canzone richiede la capacità di autoregolarsi, di accettare ciò che emerge dall’inconscio, esercitando la capacità di controllo all’interno di un contesto di libertà espressiva dei propri impulsi. Si tratta di processi psichici e fisici complessi, nonché affini a quelli in cui il preadolescente è impegnato a tempo pieno nella vita quotidiana; processi che fungono da sostegno al preadolescente nel suo tentativo di integrare tutti questi passaggi e parti di sé che attivano.

In sostanza l’importanza nella costruzione del processo creativo è intravedere da parte del terapeuta il prodotto finale, allo scopo di contenere le ansie distruttive, gli elementi scissi o negati del Sé e trasformarli in elementi di restauro. La creatività è a sostegno della ricostruzione.

 In arteterapia, l’arteterapeuta agisce una funzione di specchio e ri-specchiamento sano delle parti funzionanti del ragazzo. Il fare insieme facilita i ragazzi nel loro processo espressivo e comunicativo, ma va tenuto conto che auto-rappresentarsi tramite il gesto creativo-artistico è un fenomeno che si carica di ansia proprio a causa dell’incertezza nei confronti della propria identità in trasformazione. Per questo usare il linguaggio artistico in un contesto di cura è un intervento che deve essere calibrato, trovando il giusto compromesso tra l’esprimersi e il proteggersi dall’eccessiva esposizione. In tal modo la vita fantasmatica prende la forma di un oggetto esterno condivisibile con la proiezione dei propri oggetti interni.
Come per una rappresentazione di sé che viene rifiutata recuperare gli scarti o lo schifo prodotto è un passaggio fondamentale per attivare il processo trasformativo in arteterapia. Senza che diventi un’imposizione o la bonifica di un malessere. Ciò che sta ai margini può essere recuperato riabilitato e reintegrato nel Sé. Il processo trasformativo consente una rielaborazione dello scarto che diventa parte integrante di un processo creativo. Trasformare vuol dire anche rielaborare attraverso un processo di rispecchiamento nella relazione con il terapeuta che ha uno sguardo privilegiato ed inedito del ragazzo grazie all’oggetto creativo.
Potenziare i preadolescenti di strumenti simbolici può quindi aiutare a sostenere il processo di rappresentazione della pluralità che ciascun ragazzo/a ha in sé. A livello fantasmatico il canale artistico permette di guardare da fuori, anche solo per un momento, un istante decisivo nel quale si avverte contemporaneamente un distacco[7] (perché fuori da me) ed un contatto emotivo intimo (perché le mie mani hanno creato) dall’opera artistica realizzata. Lo sguardo dall’alto unifica ed integra la complessità. La rappresentazione simbolica messa in atto nella produzione artistica supporta il tentativo di dare significato alle nuove forme che emergono in questa fase particolarmente critica. Il diventare attivi[8] nel fare arte spinge ad utilizzare le risorse interne dell’individuo, scoprirne di nuove e valorizzarne altre che si credevano marginali o inutili.
Una delle frasi che più si sentono dire ai ragazzi è “non so il perché”. L’arte interroga il soggetto, durante il processo artistico le risposte vengono co-costruite e non sono mai predefinite.

A questo proposito le parole di Alessandro D’Avenia[9] ci vengono in aiuto:

“Ma l’apprendimento è “dramma”, si fa solo in scena, ogni giorno, corpo e anima [..] i verbi crescere e creare hanno la stessa radice: un ragazzo è pronto a tutto, se sa che può realizzare qualcosa che solo lui può creare.”

Il linguaggio artistico in terapia apre una porta verso nuove consapevolezze, non visibili, inconsce ma tangibili e per questo forse più maneggiabili da mettere in campo nel lavoro di costruzione della propria identità autentica. In questo modo le ragazze ed i ragazzi interiorizzano una narrazione metaforica nella quale si può riconoscersi ed attingervi in base alle diverse situazioni che dovranno affrontare, poiché si tratta di una rappresentazione simbolica e per questo trasversale.
La dinamica relazionale attivata tra il terpaeuta-paziente-oggetto artistico presuppone un continuo movimento e scambio tra il mondo esterno e concreto (il fare) e il mondo interno e inconscio (l’essere).
Il prodotto artistico condiviso ha un valore di cura perché consente ai ragazzi invece che agire i loro impulsi di trasferirli nella narrazione artistica, permettendogli di integrare le sue parti frammentate.
La Bottega d’Arte (inteso come setting di arteterapia) diviene uno spazio per la holding, per l’accoglienza e creazione di una relazione nuova ma costante nel tempo e nello spazio, dove la specificità dell’intervento artistico sta nello scambio nel gioco, ma soprattutto nel prodotto che permette il riconoscimento di sé, del proprio valore. Il terapeuta diventa testimone di questa scoperta. Chi entra in questo spazio porta e agisce una forza che si trasforma, attraverso la relazione, così che quando esce, ri-porta con sé qualcosa di diverso che è stato rielaborato: questo qualcosa è un oggetto artistico in cui identificarsi che è l’insieme di un vissuto emotivo e di un oggetto concreto.
In questo processo l’esperienza dell’essere e del fare vanno di pari passo, rendendo possibile ai ragazzi una narrazione di sé più autentica che attinge direttamente da oggetti interni via via divenuti visibili, anche se non ancora del tutto comprensibili. Il prodotto artistico diventa così lo specchio che permette nel caso dell’analista di porre lo sguardo oltre la frontiera del mondo concreto spesso prevalente nei discorsi dei preadolescenti ed adolescenti e di aprire un canale relazionale privilegiato, quello artistico, che faciliti la ricomposizione dei contenuti scissi, perduti o deteriorati.

“Creare è dare una forma al proprio destino.”

Albert Camus[10]

 

[1] Psicologa specializzanda presso l’Istituto PsiBA, Arteterapeuta, Consulente c/o Centro Diurno “Botteghe d’Arte” ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda; Arti e Pensieri cooperativa sociale Onlus. Docente presso la Scuola di Artiterapie Modello Botteghe d’Arte.

[2] Psicologa Psicoterapeuta, Socio, Docente e Supervisore PsiBA, PhD Psicologia della Comunicazione e dei Processi Linguistici, CTU, Coordinatore Area Clinica e di Ricerca PsiBA e Responsabile della Segreteria di Redazione PsiBA.

[3] Baccei E., Psicopedagogia delle Botteghe d’Arte. Scuola di Artiterapia Modello Botteghe d’Arte, 2018/2019.

[4] Jung C.G., L’uomo e i suoi simboli, Raffaello Cortina Editore, 1983.

[5] Galimberti U. (2008) L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano.

[6] Headline, ideato dall’agenzia Young & Rubicam per la Pirelli, che ha accompagnato la pubblicità dell’azienda per diversi anni.

[7] Benjamin W. (2000) L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Einaudi, Milano.

[8] Brook P. (1999) Lo spazio vuoto. Bulzoni, Roma.

[9] https://www.corriere.it/sette/attualita/7-web-rep-odissea-dad-d-avenia/index.shtml.

[10] Camus A. (1947) Il mito di Sisifo. Bompiani, Milano, p.112.

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