Ognuno di noi davanti alle domande degli adolescenti in transizione di genere
Tratto dal sito Progetto Gionata. Portale su Fede e Omosessualità:
https://www.gionata.org/noi-tutti-davanti-alle-domande-degli-adolescenti-in-transizione-di-genere/
Dialogo di Katya Parente con Fabio Vanni
Essere adolescenti è difficile, lo sanno tutti. Durante questo periodo di tempo acquisiamo la personalità che ci accompagnerà da adulti. È un momento di scontri e ribellioni, di conformismo e di voglia di scoprire ciò che si è veramente. Pensate quando a tutto questo si aggiunge l’incertezza della propria corporeità, il dubbio sulla propria appartenenza di genere. La miscela già di per sé instabile diventa decisamente esplosiva.
Per questo, il dottor Fabio Vanni direttore scientifico del ‘Progetto Sum’ di Parma ha ideato il libretto ‘Ricerche e pratiche della transizione di genere in adolescenza‘ scaricabile gratuitamente dal sito dell’ ASL di Parma di cui ci parlerà per sommi capi.
A chi è rivolto il quaderno da lei curato?
Il quaderno è rivolto sia ad operatori che vogliano cominciare a conoscere le coordinate del mondo della transizione di genere in adolescenza sia a genitori, educatori, insegnanti, ragazzi interessati ad informazioni sul tema.
Non si limita però ad informare, ma riporta alcune ricerche, in prevalenza qualitative, che aiutano ad avere un incontro più esperito, più affettivo con il mondo della transizione da diversi punti di vista: del genitore/parente, del ragazzo/a, del servizio sanitario che li accoglie, etc. Stiamo per trasformarlo in un libro illustrato e stampato, ma sempre disponibile gratuitamente online, che ne valorizzi meglio il contenuto.
La pubblicazione fotografa la realtà di un servizio ospedaliero: chi ne è l’utente “tipo”?
C’è un focus, fra gli altri, sul Centro Adolescenza e Giovane Età che non è un servizio ospedaliero ma un Centro per adolescenti e giovani 12-25 anni dell’Ausl di Parma che segue da diversi anni questo tipo di situazioni. L’utente tipo, per quanto riguarda questo ambito, non saprei definirlo. Ci sono ragazzi e giovani di entrambi i sessi biologici che sentono di avere un problema riguardo al genere. In alcuni casi con l’intenzione di avviare un processo di transizione, in altri di comprendere come collocare in loro stessi ciò che sentono, in altri ancora avvertono l’esigenza di spiegare ai loro genitori la loro esperienza, etc.
Si tratta sempre di situazioni non semplici da gestire, dove la discrepanza fra sesso biologico e genere di appartenenza necessita di una messa a fuoco soprattutto in prospettiva futura. C’è anche poi il tema del che fare per intervenire sulla propria corporeità per adeguarla meglio al proprio genere esperito e dunque tutto il tema delle terapie endocrinologiche, di quelle chirurgiche, ed infine, ma non per ultimo, l’adeguamento anagrafico. Questi temi per i minorenni sono particolarmente complessi sul piano amministrativo, oltrechè psicologico e richiedono una collaborazione con i genitori che naturalmente non è scontata né semplice da elaborare.
I vostri utenti, per il solo fatto di essersi rivolti alla struttura, hanno già iniziato un percorso. Cosa li ha spinti a farlo e qual è la loro condizione prima e dopo la transizione?
Di solito chi arriva da noi avvia così il percorso di transizione a partire, come è corretto fare, dalla consultazione e poi da un accompagnamento psicologico e dopo spesso compie anche altri passi, come dicevo, il primo dei quali è quello della terapia ormonale. La chirurgia viene eventualmente dopo e non sempre, e comunque per arrivare alla chirurgia che interessa l’apparato genitale il percorso è lungo.
I primi interventi qui sono quelli relativi al seno (additivi o riduttivi), all’estetica del viso o di altre parti del corpo, delle corde vocali, ma ripeto che questi interventi non vengono richiesti da tutti ma solo da alcuni e spesso dopo anni di transizione. Ciò che accade presto e a volte è già in parte accaduto è l’operare da parte dell’adolescente sul proprio look per renderlo più rispondente al genere esperito o comunque a come si sente.
E’ un processo di ricerca estetica davvero pieno di creatività, dove la rilevanza di come ci si pone verso i pari è centrale, così il loro riscontro, l’apprezzamento, etc. E’ sorprendente, in un certo senso, sentire come questo processo di riconversione identitaria sia seguito dai compagni di classe per lo più con rispetto e immedesimazione, come un’esperienza che non ha nulla di impensabile, come se venisse perseguita una strada che porta un po’ più in là ciò che in fondo tutti/e fanno in adolescenza. Allestire, nascondere, declinare la propria corporeità come parte centrale di sé.
Il percorso psicologico è quindi un accompagnamento di queste esperienze, compresa quella dell’introduzione di una terapia ormonale che produce cambiamenti tanto attesi ma cionondimeno motivo di turbamento. L’interruzione del ciclo piuttosto che la crescita dei peli, l’aumento della massa muscolare, la collocazione adiposa soprattutto in certe aree sono fenomeni che vengono vissuti sulla propria pelle, il che è diverso da averli immaginati ed auspicati magari da tempo, e che necessitano, anche nelle situazioni più favorevoli, di un pensiero che le riconfiguri nella propria immagine di sé.
Sono percorsi lunghi dove la relazione con i genitori, i fratelli, i nonni e le zie è tutt’altro che scontata. Nel libro c’è una parte molto interessante su come una nonna e una madre di una ragazza trans hanno vissuto questo processo e c’è una frase della madre ‘Io ho fatto una figlia e mi trovo un maschio’ dice più o meno, che merita una riflessione.
Se ci pensiamo un attimo la cosa non è banale. Non è un’esperienza che fanno tutte le mamme questa e quindi va compresa e digerita e questa digestione procede in parallelo al processo di disvelamento e di trasformazione che fa il ragazzo o la ragazza. E’ un movimento molto profondo quello che questi ragazzi mettono in campo, nel senso che introduce una discontinuità nelle proprie vite ma anche in quelle di chi è loro vicino fin da piccoli. Si toccano questioni che rimangono implicite per la maggior parte delle famiglie e che qui emergono sorprendentemente.
Pensi alla generatività che quando due genitori hanno una figlia femmina danno quasi per scontata e che qui trova una giravolta biografica, oppure alla relazione con il proprio genere da parte di un genitore che ha messo al mondo un bambino e vive quel rapporto con una persona di sesso maschile naturalmente trovandosi invece a dover riconfigurare questa esperienza.
Sul prima e sul dopo rispetto al percorso terapeutico aggiungerei che nella grandissima parte dei casi gli adolescenti vengono a parlare con lo psicologo su loro richiesta e cercano una sponda che li aiuti a mettere ordine e significato in ciò che vivono. Questo di solito, almeno in parte, avviene e facilita i passi che ho indicato, ma naturalmente si aprono altre questioni che accompagnano un processo così particolare nel nostro mondo e che quindi richiede un po’ sempre un’elaborazione. La psicoterapia aiuta a dare degli strumenti per compiere questa operazione poi anche da soli o con l’aiuto del loro ambiente prossimale ed a chiedere aiuto ancora se e quando servirà loro.
La transessualità è un fenomeno spesso visto a partire da cliché. Quali sono principali “miti” da sfatare per accostarsi ad una persona transgender?
Una persona transgender scuote un cliché binaristico che abbiamo tutti e quindi il primo mito che suggerirei di considerare criticamente è questo. Siamo abituati a pensare al nostro interlocutore, che sia un amico o un compagno di lavoro o un parente o un paziente appunto, come maschio oppure femmina, e trovarsi in rapporto con qualcuno che fluidifica, transita, scompagina questo ordine è spesso disorientante. Forse incuriosente. E se succede questo siamo già sulla strada giusta. Facciamoci prendere dalla curiosità che è un ‘andare verso’ ed esploriamo il nostro sentire rispetto a questa esperienza di relazione. Potrebbe aprirci orizzonti inaspettati.
Un altro mito che i giovani non vivono più ma che è ancora presente nelle generazioni senior è l’associazione fra trans e prostituzione, malavita, marginalità. La classica immagine della trans a bordo strada accanto al fuoco o come oggetto di interessi sessuali perversi. Oggi la transizione è ben altro e però dipende anche da noi se aiutiamo le persone che vivono questa esperienza, certamente mai banale, a viverla in forme più socialmente accoglienti.
Ultimamente è cresciuto molto l’interesse intorno a bambini e adolescenti transgender. Perché, secondo lei?
Sono molto cresciuti i numeri di persone che vivono questa esperienza, prima rara, segreta e spesso tragica. Si è visto che ci sono non pochi bambini che sperimentano esigenze di esplorazione di identità non conformi al proprio sesso biologico e che in molti casi prima dell’adolescenza ritornano ad una posizione di coerenza fra sesso biologico e genere esperito (in gergo tecnico sono i cosiddetti ‘desisters’) ma che non pochi di loro invece con la pubertà vivono l’esigenza di andare verso la transizione (i cosiddetti ‘persisters’).
Lei mi chiede perché. E’ una domanda molto interessante. Io credo che oggi la propria identità di genere sia divenuta disponibile, un tempo non lo era e operare una transizione voleva dire compiere una rottura prima di tutto culturale, da qui l’emarginazione sociale alla quale erano per lo più condannati. Oggi no.
Oggi il corpo è proprio – è evidente l’influsso della cultura femminista – e quindi posso collocarmi nella mia declinazione di genere in modi molto differenti, anche molto lontani dalle forme più stereotipate. Anzi questa creatività identitaria è tendenzialmente gradita e ricercata complementarmente alla propria. La transizione, che è un fenomeno, lo sottolineo ancora, che non è detto che porti da A a B, cioè che conduca dal maschile al femminile o viceversa in tutte le sue forme anche biologiche ma che ha mille sfumature differenti che si traducono anche in forme linguistiche (queer, a-gender, fluid, etc): è all’interno di questo spettro di creatività identitaria che caratterizza la nostra epoca in diversi ambiti.
Pensiamo alla politica o al lavoro o alle stesse relazioni di coppia. Sappiamo che la verticalità è caduta da tempo e che il soggetto umano prova a delegare meno ad un’alterità sacra e dunque ha a disposizione una varietà molto maggiore di prima di opzioni esistenziali. Aggiungo anche che il mondo, per dirla con Morin, è un unico villaggio e che quindi lo spazio di conoscenza di esperienze, di culture differenti dalla propria è enormemente aumentato, rendendo possibile guardare oltre il proprio tradizionale orticello.
Quali sono le specificità dell’approccio ai ragazzi transgender rispetto agli adulti?
La maggiore specificità è certamente data dalla fase nella quale il tema emerge. Sia che nasca in infanzia e abbia i suoi sviluppi in adolescenza oppure che sorga nella seconda decade di vita questa collocazione la rende nuova per sé e fortemente connessa con le relazioni familiari e peer che hanno rilievo specifico per i bambini e gli adolescenti. Quindi in questo tipo di situazioni di questa collocazione si deve tenere fortemente conto sia come rapporto con sé che nella collocazione dei familiari in relazione ad essa.
L’adulto ha dietro di sé una storia che costituisce certo anche un vincolo, un’inerzia, ma che gli dà strumenti esperienziali maggiori, anche una oggettiva maggiore libertà giuridica ed economica anche se naturalmente cambiare può significare molte cose anche difficili come tradire/tradirsi, ma anche cogliere finalmente un’opportunità magari fantasticata da tempo. E’ un’esperienza non semplice per nessuno comunque, compresi gli psicoterapeuti, gli endocrinologi, gli insegnanti, i partners, che con essa entrano in rapporto attraverso la persona trans che la vive e la porta con sé nelle relazioni con loro.
Forse qualcosa si muove, visto che le nuove generazioni accolgono il tema della transessualità – e della diversità in generale – con uno sguardo più aperto e curioso di quello delle generazioni precedenti. Ma c’è ancora molta strada da fare. L’utile libretto del dottor Vanni ci mostra una delle direzioni possibili.