AFPP segnala l’uscita nel mese di Aprile del numero doppio della Rivista

Contrappunto 57/58. “La prospettiva transculturale”

Anteprima Coperta

La decisione di presentare ancora una volta un numero doppio di Contrappunto è conseguente alla molteplicità e varietà dei contributi che ci sono stati proposti: segno, questo, della vitalità che anima il rinnovato e giovane gruppo redazionale. Sebbene il nostro lavoro si sia articolato in un contesto tematico variegato, esiste comunque un focus centrale su cui si è concentrato il nostro interesse: come si possono utilizzare i modelli clinici e teorici psicodinamici su cui si fonda il nostro lavoro, allorché ci troviamo confrontati con contesti socio-culturali ed etnici profondamente diversi da quello in cui abitualmente ci troviamo a operare? Quali “vertici” di lettura, comprensione e intervento dobbiamo adottare se ci vogliamo muovere in una prospettiva transculturale? Questi interrogativi, che sono stati in parte stimolati da conferenze nazionali e internazionali a cui alcuni di noi hanno partecipato, appaiono del resto di scottante attualità, visto il clima socio-geo-politico in cui attualmente ci troviamo immersi.
È da qui che prende il via il lavoro di Alessio Ciardi – Sulle orme dell’altro – che richiama la nostra attenzione al fatto che il tema della migrazione, del conseguente “sconfinamento” e perturbante incontro con l’Altro, ha destato finora più turbamento che riflessione e conoscenza; si è reso necessario un lungo percorso di studio e ricerca, sin dal secolo scorso, per giungere a una feconda convergenza tra la psicoanalisi e altre discipline, in primis l’etnologia e l’antropologia, oltre che la psichiatria, la linguistica, la sociologia; l’intento centrale sotteso alle varie indagini è stato quello di comprendere che importanza abbia la dimensione culturale nello sviluppo psichico dell’individuo, incluse le manifestazioni (apparentemente) psicopatologiche, e quale sia la applicabilità clinica delle scoperte derivanti dalle indagini etnopsichiatriche.
A questo tema, appunto, dell’Incontro con l’altro. Frammenti storici e metodologici in etnopsichiatria, è dedicato il complesso articolo di Sergio Zorzetto, il quale ci spiega gli effetti dirompenti prodotti dall’introduzione dell’etnopsichiatria nel primo Novecento, in modo simile a quanto accaduto con le innovative scoperte della fisica quantistica. L’Autore delinea i ruoli concettuale e tecnico assunti nell’ambito della prospettiva etnopsichiatrica dal “principio di complementarità”, introdotto da N. Bohr nella sua esplorazione dei processi atomici e sub-atomici. A partire da questo chiarimento concettuale, viene sinteticamente presentata l’elaborazione del principio di complementarità sviluppata da G. Devereux; su queste premesse si è costituito il fondamento metodologico dell’etnopsichiatria generale e il suo risvolto operativo nella forma di una proposta di psicoterapia interculturale. Infine, viene presentata la rielaborazione della prospettiva complementarista, svolta da T. Nathan, considerando anche i risvolti tecnici di essa, che si sono concretizzati negli sviluppi dell’etnopsichiatria clinica.
Anche gli articoli che seguono si muovono lungo questo fil rouge del rapporto tra contesto etnico-culturale e psichismo individuale: nella sua relazione su La pelle culturale, Brian Feldman – psicoanalista californiano ma connotato egli stesso da una storia personale di integrazione tra molteplici culture e idiomi – ci racconta come si sia dedicato all’esplorazione sul campo del concetto di “pelle culturale” utilizzando la metodologia dell’Infant Observation secondo Esther Bick. In questo testo riferisce i risultati della sua esperienza in Cina, dove negli ultimi sei anni è stato impegnato nella programmazione, nell’organizzazione e nella supervisione di gruppi di Infant Observation. Questa metodologia è stata di grande utilità per comprendere più profondamente la trasmissione del- la cultura e del trauma, l’emergere degli stili di attaccamento all’interno delle relazioni primarie tra il bambino e i suoi caregiver nonché l’emergere del Sé e dell’identità, ed è risultata un ottimo strumento per riflettere sulle differenze tra la pelle culturale cinese e quella occidentale.
Il successivo resoconto su Le rappresentazioni culturali della gravidanza in Senegal accompagna il lettore in un contesto per noi lontano – quello africano – dove l’esperienza della gravidanza appare vissuta sia dalla donna che dal suo entourage come un momento carico di valenze e istanze multiple, dove credenze e rituali per noi inusuali si intrecciano con complessi significati psicologici: questi da una parte appaiono assimilabili al vissuto delle donne occidentali, dall’altra invece ci introducono in una dimensione misteriosa, popolata da forze magico-animistiche. Questo report è stato presentato da due psicologhe africane, supervisionate da Rosella Sandri, in occasione di un recente Congresso Internazionale sulle applicazioni dell’Infant Observation.
A testimoniare la necessità, ma anche la possibilità di avvicinarsi alle problematiche transculturali in maniera aperta e fruttuosa, segue l’illustrazione clinica di una “terapia impossibile” condotta da Manuela Trinci, autrice dell’articolo Amina, la bambina che aveva paura del vento: questo lavoro illustra un originale approccio terapeutico al caso di una bambina africana di otto anni, che soffriva di una grave fobia, apparentemente psicotica; la terapeuta, attraverso un inter- vento che include la compartecipazione dell’intera famiglia, di sette persone, «trasmette una gioiosa e divertita possibilità di gioco che le permette di entrare in contatto con Amina e di comprendere il significato “culturale” del sintomo». Il resoconto, godibilissimo, di M. Trinci, testimonia come si debbano trattare i rapporti con i genitori e il bambino provenienti da Altrove, accogliendo il loro sistema culturale, senza sovrapporvi pregiudizi ideologici e uniculturali.
In un quadro di “transculturalità” si colloca infine anche la recensione di C. Casarosa su un interessante testo di S. Akhtar, Freud e l’Estremo Oriente, che ci spiega come alcuni concetti e modelli psicoanalitici siano penetrati e poi reinterpretati nella realtà di vari Paesi orientali.
Nella successiva sezione, Spunti di ricerca, viene anzitutto presentato, da L. Mori e I. Lapi, il lavoro svolto dal Gruppo di Studio sulla Paternità Interiore, formato da psicoterapeuti e psicoanalisti di varie associazioni, che hanno studiato la dimensione psichica dell’uomo che diventa padre e il suo percorso per acquisire la nuova identità di genitore. Nella costruzione dell’identità paterna, le implicazioni relazionali e interpersonali si intrecciano a quelle intrapsichiche in una complessità che porta a costellazioni relazionali di vario tipo. L’approdo alla paternità infatti implica, come per la maternità, un processo di cambiamento nel quale vengono riattualizzati i conflitti infantili, i molteplici sentimenti legati alle figure genitoriali e la storia passata. Ed è certamente una sfida per i nuovi padri raggiungere un soddisfacente equilibrio tra le proprie componenti psichiche maschili e paterne e quelle femminili e materne che permetta di avere un rapporto più vicino con i figli o le figlie. Per tutti questi motivi è auspicabile una maggiore attenzione al ruolo e alle problematiche paterne. L’esperienza fatta nel gruppo – che è stata presentata anche in un Seminario all’AFPP – ribadisce infatti l’idea che i padri debbano avere spazi specifici di espressione della propria realtà emotiva, di ascolto e condivisione, e anche di aiuto professionale nella consultazione e nei percorsi psicoterapeutici.
A seguire, una problematica molto attuale, quella della “dispersione dell’identità”, che caratterizza un numero crescente di giovani che accedono al Servizio di Salute Mentale in Toscana, viene affrontata da A. M. Spina, nel suo contributo L’approccio gruppale nella problematica della Dispersione dell’Identità. Sono adulti o giovani adulti il cui mondo interno appare confuso, come disperso nella nebbia, che lasciano nella mente del terapeuta una sensazione di vuoto quando si cerchi di dare un senso ai dati anamnestici. Apparentemente portatori di una sintomatologia depressiva, questi pazienti si dimostrano molto bisognosi di rêverie materna. Si avanza l’ipotesi di un approccio psicoterapeuti- co gruppale data la difficoltà elaborativa di questo tipo di pazienti.
Improntato a un approccio neuroscientifico, l’articolo successivo di C. D’Agostini – Riflessioni su ordine e creatività – ci spiega come la trascuratezza nei confronti del bambino nei primi mesi di vita, oltre a influenzare il processo di attaccamento, ha conseguenze stabili nei confronti della organizzazione cerebrale dei due emisferi e sulla loro funzione. Recenti acquisizioni delle neuro- scienze permettono di comprendere come, nel corso della crescita, l’evoluzione di queste caratteristiche funzionali possa influenzare aspetti specifici della personalità. L’autore si sofferma a esaminare due tipologie di personalità che alcuni studi hanno posto in relazione con problemi di attaccamento e deficit di accudimento. La prima tipologia portata a utilizzare un pensiero tendente all’ordine sino all’estremo della ossessività; la seconda caratterizzata da stili di pensiero e di comportamento creativi spinti, nelle sue manifestazioni più accentuate, sino all’impulsività. Vengono considerate le condizioni di accudimento che sembrano favorire l’orientamento in età adulta verso questa o quella modalità.
La rubrica Ritagli accoglie il resoconto commemorativo dell’importante lavoro in ambito educativo svolto da Elisabetta Papucci, recentemente scomparsa, la quale fu insegnante formata all’Infant Observation. In un seminario fiorentino dello scorso anno, promosso dal Centro Studi Martha Harris, in accordo con l’Università degli Studi di Firenze, la sua figura professionale e umana è stata ricordata con vari interventi, tra cui in particolare riportiamo quello di Jeanne Magagna – L’approccio trialogico di Elisabetta Papucci – sull’importanza di una relazione “triadica” scuola-genitori-bambino, utile a favorire i processi di apprendimento. Le caratteristiche peculiari dell’impegno pedagogico sono descritte nell’introduzione – Osservare, ascoltare, comprendere. Una proposta nel mondo dell’educazione – di M. Monticelli, che illustra il metodo di intervento della collega in situazioni di apprendimenti e comportamenti difficili.
Nella sezione Congressi e convegni viene discusso un aspetto problematico di indubbia attualità, quello delle possibili implicazioni psicopatologiche in un certo tipo di uso dei social network; l’articolo di L. Ricci e L. Gambacorta, allievi dell’AFPP, propone un’interessante riflessione sulle fantasie, individuali e/o collettive, connesse con l’uso della tecnologia informatica: Internet sembra configurarsi come un luogo che “memorizza” e rende disponibili molti contenuti capaci di appagare le fantasie della persona. Allo stesso tempo elementi peculiari come il deep web permettono un concreto appagamento di tipo perverso, di qualsiasi richiesta, dato che il desiderio si connette direttamente all’oggetto concreto, pur nel paradosso dell’uso di un mezzo virtuale. Il social network può essere visto anche come momento gruppale, un luogo che coinvolge la componente della personalità inestricabilmente legata alla gruppalità. Questo lavoro è stato presentato, e molto apprezzato, in occasione della Giornata scientifica SIEFPP, svoltasi a Bologna nel febbraio 2018, il cui tema era Le nuove forme del malessere, tra cui appunto L’uso del virtuale. Di tale incontro scientifico pubblichiamo un dettagliato resoconto, scritto dalla collega M.A. Fenu, attuale Presidente della SIEFPP.
Diversamente dal solito, vogliamo fare questa volta un breve riferimento anche alle recensioni, in quanto una – quella sul saggio di R. Romano Toscani e P. Bianco Conversazioni a due voci. Note sulla supervisione – affronta in maniera originale e coinvolgente il discorso sulle numerose implicazioni teorico-clinico-storiche del lavoro di supervisione, che ha costituito oggetto di approfondimento nello scorso anno anche all’interno del percorso formativo di soci della AFPP; è stato perciò organizzato un piacevole incontro di presentazione del libro con le stesse Autrici, presso la nostra sede.
La recensione del libro di M. Solms La coscienza dell’Es a cura di G. Buonfiglio mette in luce come le doti di ricercatore dell’Autore e le sue capacità di comunicare abbiano contribuito a migliorare la comprensione e il dialogo fra neuroscienze e psicoanalisi. Queste due discipline, fondate su presupposti epistemologici e metodologici molto diversi e con un passato di diffidenza reciproca e di contrapposizione, sembrano più che mai spinte a un dialogo dallo sviluppo dei rispettivi modelli, dall’approfondimento delle conoscenze dei rispettivi campi di indagine e dal condividere lo stesso oggetto di studio: la mente.
Chiude il numero il consueto Notiziario dell’Associazione.

Per info: contrappuntoredazione@gmail.com

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